Mi piace pensare alla miriade di possibilità di una lingua nel coniare nuove parole; parole che abbiamo un valore inclusivo, che non segmentino o definiscano gruppi sociali. Mentre leggevo un articolo, “Introducing GQ’s New Masculinity Issue, Starring Pharrell” scritto dal caporedattore Will Welch in occasione dell’uscita del numero di ottobre di GQ, ho pensato e ripensato al discorso di “new masculinity” e ad una nuova parola in italiano che in qualche modo potesse sostituire quel termine, mascolinità, ormai saturo di stereotipi di significato. La soluzione è stata mEscolinità. In questo potenziale neologismo emerge da una parte l’idea di una miscela di ingredienti e possibilità; dall’altra, abbatte quella mascolinità fatta di rigore sociale, che giudica e non permette sgarri.
La riflessione sul concetto di mascolinità – e per riflesso di femminilità – sta nel ripensare al significato di entrambi i termini. Quindi, non dovremmo più parlare della guida al mascolino d’hoc, bensì offrire opzioni dirompenti, che mettano in discussione il concetto in sé. Il punto centrale sta proprio nel riconoscere e abbracciare un cambiamento nell’ideale di mascolinità.
Partendo dall’abbigliamento stereotipato attribuibile a uomo e donna si possono offrire soluzioni a patto che non vengano utilizzate quelle etichette come “mascolino” e “femminile” che vanno indiscutibilmente ad ingabbiare dei modi d’essere. Già dalle passerelle dello scorso settembre abbiamo visto che i brand stanno imponendo sempre meno regole: da Tommy Hilfiger con modelle che indossano tailleur alla sfilata di Balenciaga dove non distinguiamo più capi femminili o maschili in quanto intercambiabili.
Le nostre percezioni, e, forse, giudizi, stanno cambiando in modo costruttivo a favore di una maggiore inclusione.
Dalla sfilata Balenciaga Womenswear Spring Summer 2020
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Dalla sfilata Tommy Hilfiger NYFW
