Mi trovo in una sala di teatro nell’attesa che inizi una conversazione su un tema tanto dibattuto, l’identità intesa come provenienza e appartenenza ad una nazione e cultura.
Il titolo, “NON.KA.non” allude sia all’evento, il PhotoVogue Festival, sia al non essere considerati conformi ad un canone.
A noi spettatori viene chiesto di chiudere gli occhi ed ascoltare – direi alquanto difficile al giorno d’oggi. Così facciamo ed ascoltiamo una semplice presentazione in una cadenza chiaramente veneta. Terminato il discorso ci viene chiesto di aprire gli occhi e con un leggero brivido che mi percorre la schiena capisco che l’intento è più che riuscito. Un accento regionale che non viene immediatamente associato alla figura che ci si presenta davanti, una ragazza che a giudicare dall’aspetto fisico sembrerebbe più africana che italiana.
L’esercizio, apparentemente banale, crea un generale sconforto, poiché la mente, fuorviata dal pregiudizio e dai canoni, avrebbe assegnato a quell’accento un corpo dalla sembianze europee, quindi bianco.
Da qui nascono una serie di considerazioni inevitabili: come può una ragazza, nata in Italia, che della sua discendenza africana sa poco o nulla, non essere considerata italiana per il colore della pelle?
Da qui mi chiedo, ma chi fa una nazione? La lingua? Il luogo di nascita?

I costrutti sociali che portiamo con noi creano un lessico e una forma mentis che ci porta a considerare italiano solo chi ha la pelle bianca e crea dei pregiudizi così forti che vengono interiorizzati anche senza volerlo.
Ritorniamo quindi sempre al problema dell’identificazione con un canone, quello bianco, che al giorno d’oggi è un’idea obsoleta e limitante, dove il problema dell’identità è esattamente una proiezione culturale e sociale.
La moda, dal canto suo, sta lavorando per aprire le percezioni. L’inclusività è una cultura integrante di molti brand come Gucci che sponsorizza l’apertura culturale già nelle sue collezioni bambino, cercando di decostruire le nostre percezioni, oltre ad aprirsi ad una nuova cultura sul genere. O ancora Stella Jean, forte sostenitrice del movimento Black Lives Matter, vede la moda come arma liberatoria alla propria identità, che se imposta, risulta essere paragonabile ad una forma di violenza.
E noi cosa facciamo nel nostro piccolo per non soffermarci sulla nerezza?
Ascoltare le storie altrui può essere un primo passo verso una crescita personale ed una decostruzione delle nostre idee preconcette. Dobbiamo essere aperti a creare una nuova cultura dai nuovi contenuti.

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